Dream And Wish, As It’s Human Nature. As With The Motto Of My Alma Mater, North Carolina State University,

Dream And Wish, As It’s Human Nature. As With The Motto Of My Alma Mater, North Carolina State University,

Dream and wish, as it’s human nature. As with the motto of my alma mater, North Carolina State University, think and do. Dare to dream, and then decide to make it happen. Landing on the moon was once science fiction. Make your dreams a reality. Roll up your sleeves and get to work.

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7 years ago
Google Maps: Ora C'è Planets 

Google Maps: ora c'è Planets 

Il pianeta nano Plutone

Google Maps ha aggiunto al suo atlante virtuale nuovi mondi da esplorare virtualmente. I pianeti Mercurio e Venere, il pianeta nano Ceres, nove lune di Saturno e Giove e infine Plutone si possono visitare accedendo a Google Planets. La prima tappa è la Stazione spaziale internazionale, per poi fare un tour attraverso gli oggetti più interessanti del Sistema solare

8 years ago

'News & Features': via #NASA_APP

7 years ago
Nuove Foto Dalla Junocam, Scattate Durante L'ottavo Perigiove.

Nuove foto dalla Junocam, scattate durante l'ottavo perigiove.


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8 years ago
I Computer Non Sono Stati Sempre Fatti Di Schede Madri E CPU. Un Tempo, Erano Umani! E Al Jet Propulsion

I computer non sono stati sempre fatti di schede madri e CPU. Un tempo, erano umani! E al Jet Propulsion Laboratory della NASA, i computer umani erano una squadra di donne talentuose, diventate le prime programmatrici di computer. In questa foto del 1959, un computer umano lavora con un computer-macchina, presto chiamato IBM 704. Questi ultimi erano in grado di fare alcuni calcoli veloci, ma non erano ancora affidabili o efficienti come gli esseri umani.

Crediti: NASA / JPL-Caltech

7 years ago
ON THIS DAY: Titan, Moon Of Saturn, Observed On November 30, 2014 By The Cassini Space Probe.

ON THIS DAY: Titan, moon of Saturn, observed on November 30, 2014 by the Cassini space probe.

(NASA)

8 years ago

Perché non siamo più tornati sulla luna?

Anni 60. Sembrava una corsa inarrestabile quella verso lo spazio.

Il programma Apollo realizzò il sogno americano di portare l'uomo sulla luna prima dei sovietici, dopo le sconfitte subite da questi ultimi, prima nel ‘57 con il primo satellite Sputnik fino al ‘61 con il primo viaggio spaziale di Yuri Gagarin. Un sogno durato 3 anni, 6 missioni e 12 astronauti. Una promessa mantenuta, quella del presidente John F. Kennedy, che prevedeva la conquista del satellite terrestre entro la fine di quel decennio.

Le tecnologie aerospaziali sono migliorate esponenzialmente da quei tempi, allora perchè non si torna più sulla luna?

Parte della popolazione crede che, in realtà, nessun uomo ci sia mai stato, un'ipotesi diffusa anche sul grande schermo, da un film del '78 di Peter Hyams, Capricorn One, che racconta di una falsa missione su Marte organizzata dalla Nasa per non vedersi cancellati i finanziamenti del governo, e da un popolare libro del fotografo francese Philippe Lheureux, pubblicato nel 2001, dal titolo Lumières sur la Lune. Idee che sono state smentite più volte, grazie anche alle sonde come la Lunar Reconnaissance Orbiter che ha recentemente inviato foto che mostrano i resti dei moduli di atterraggio, le strumentazioni e i percorsi effettuati dagli astronauti.

(Ebbene sì, ci sono ancora le impronte! Niente atmosfera = niente vento)

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Il problema principale è di natura economica: i fondi destinati alla NASA sono diminuiti, di conseguenza bisogna saperli gestire bene, specialmente se si hanno necessità esplorative e di sperimentazioni, con nuove missioni, tra cui quella di portare un uomo su un asteroide entro il 2025 e la conquista di Marte entro il 2030. Il programma Apollo costò circa 24 miliardi di dollari del tempo, vi lavorarono oltre 400.000 persone. Per ogni missione vi era un solo lancio del Saturn V, mentre oggi servirebbero due lanci SLS, uno per il lander ed uno per l’Orion, a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, entrambi dotati di uno stadio propulsivo criogenico (CPS); quest’ultimo serve per portare i moduli dall’orbita terrestre (LEO) a quella lunare (LLO). Come in passato, il lander sarebbe diviso in una parte inferiore (modulo di discesa) ed una superiore (modulo di risalita); quest’ultima ospiterebbe tutto l’equipaggiamento, le forniture ed i consumabili per l’equipaggio, nonchè sportelli adatti al passaggio delle tute “block 2 EVA Deep Space Suit”. Al termine del soggiorno lunare, l’equipaggio ripartirebbe verso l’Orion, che ha sufficiente delta-V per ricongiungersi al modulo di risalita in qualsiasi momento, anche se un rientro non nominale potrebbe imporre una permanenza in orbita lunare in attesa di una finestra favorevole alla traiettoria di rientro verso la Terra. Ad ogni modo, il costo del veicolo di discesa sarebbe, da solo, di svariati miliardi di dollari, da sommare agli svariati miliardi per i lanci SLS e tutto il resto, rendendo una missione lunare assai poco probabile.

Oltre al fattore economico, le agenzie spaziali cercano di preservare le preziosissime risorse umane che hanno. Una missione lunare, anche se potrebbe sembrare molto più semplice rispetto ad una marziana, ha comunque le sue insidie. Insidie che negli anni ‘60, anche se le strumentazioni non lo permettevano quanto oggi, venivano superate con un entusiasmo da “prima volta”, nonostante i vari incidenti di percorso - vedi quello del ‘67, verificatosi durante un addestramento terrestre, nel quale persero la vita i tre astronauti destinati alle prime missioni lunari, rimandate poi alla fine del ‘68, o quello sfiorato con l’Apollo 13 nel ‘70.

L’ultima speranza di rivedere un uomo sulla luna si potrebbe avere dal fronte russo: si vocifera che, dal 2024, la Russia sospenderà i finanziamenti per la stazione spaziale ISS, e che tra il 2029 e il 2030 verrà finalmente realizzato il sogno di qualche cosmonauta di passeggiare su un corpo celeste!


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8 years ago
Enceladus Striated Surface As Seen By Cassini .

Enceladus striated surface as seen by Cassini .

js

8 years ago

Lo spazio è un po’ meno inospitale del previsto, almeno questo è quanto emerso in seguito ad un esperimento a lungo termine svolto su alcune alghe e portato avanti da Fraunhofer-Gesellschaft, una delle più grandi organizzazioni di ricerca applicata in Europa, grazie alla collaborazione del governo tedesco e altri partner internazionali, tra cui la Stazione Spaziale Internazionale ISS.

Il progetto, capitanato dal Dr. Thomas Leya, a capo del team Extremophile Research & Biobank CCCryo appartenente alla sezione Bioanalytics and Bioprocesses IZI-BB di Fraunhofer a Postdam, rientra all'interno di un programma più ampio del Centro Aerospaziale Tedesco, chiamato Biology and Mars Experiment (BIOMEX). (Nota: CCCryo è l'acronimo di Culture Collection of Cryophilic Algae).

Lo scopo del progetto è stato quello di valutare la resistenza alle condizioni estreme offerte dallo spazio da parte di alcune alghe. Infatti, non potendo ricreare le medesime condizioni in laboratorio, il team di ricerca di Leya ha inviato sulla ISS alcuni campioni di alga attraverso l'utilizzo di un modulo Progress russo in data 13 luglio 2014, mentre le operazioni di rientro sono state affidate recentemente ad una capsula Soyuz.

Come lecito attendersi, le alghe prese in considerazione presentano delle specifiche peculiarità, tra cui particolari geni in grado di renderle naturalmente resistenti alle condizioni climatiche più rigide presenti sul globo. I campioni sono stati quindi scelti in base alla presenza dei geni Sphaerocystis sp. e il cianobatterio Nostoc sp., rispettivamente caratteristici delle alghe verdi norvegesi e delle alghe blu-verdi delle regioni antartiche, veri e propri esempi viventi di alghe in grado di sviluppare strategie di adattamento in grado di contrastare il freddo e l'essicazione.

I campioni ottenuti sono stati quindi trasportati sulla ISS per poter verificare la loro capacità di resistere, per un periodo di tempo prolungato, a condizioni che includono forti sbalzi termici, intense radiazioni UV e assenza di acqua prolungata. Le alghe in questione avevano già dimostrato di essere completamente resistenti a questi fattori durante la sperimentazione in laboratorio, tuttavia l'esperimento sulla ISS ha portato a risultati ancor più sorprendenti, dal momento che i campioni sono rimasti esposti alle condizioni estreme dello spazio nella parte esterna della ISS per ben 16 mesi, con solo un semplice filtro a densità neutra ad occuparsi di attenuare l'effetto delle radiazioni UV.

Tutti i cambiamenti di temperatura e di intensità delle radiazioni cosmiche sono stati monitorati e registrati attraverso una strumentazione dedicata; l'analisi del loro log sarà utile al fine di analizzare le esatte condizioni a cui sono stati sottoposti i campioni in questi 16 mesi, tornati intatti sulla Terra e in grado di dare il via a nuove colonie di alghe.

Ora che le alghe sono state recuperate non si può certo dire che l'esperimento sia concluso. Al momento i campioni sono in fase di analisi presso la Technische Universität di Berlino, la quale accerterà se il periodo trascorso nello spazio ha provocato danni nel DNA delle alghe e, nel caso in cui fossero presenti, quali sono le conseguenze di ciò. Le radiazioni UV a cui sono state esposte, infatti, sono estremamente pericolose per il DNA degli esseri umani, tuttavia ogni forma di vita reagisce in maniera diversa a queste condizioni avverse.

I risultati che produrrà questa ricerca saranno particolarmente interessanti, in quanto il loro campo di applicazione è molto vasto; si va dalla cosmetica, grazie alla realizzazione di protezioni solari che possano sfruttare le proprietà di queste alghe, sino alla possibilità di utilizzarle come aspetto fondamentale in una prossima spedizione su Marte. Ed è proprio questo lo scopo finale di questo esperimento; aiutare l'uomo a trovare soluzioni in grado di adattarsi a condizioni climatiche molto diverse da quelle naturalmente disponibili sulla Terra.

L'utilizzo di queste alghe, infatti, potrebbe rappresentare una base importante da cui partire per avviare la produzione indipendente di ossigeno sul pianeta rosso, uno degli aspetti principali per permettere ai moduli abitativi e alle prime colonie di potersi sostenere autonomamente. Ma non solo ossigeno, dal momento che le alghe sono anche un'importante fonte di proteine e potranno aiutare i primi coloni nella realizzazione dei pasti, sia durante la fase di viaggio che di insediamento. Abbiamo visto come Marte rappresenti una frontiera sempre più ambita da enti pubblici e privati, i quali si stanno preparando a quella che sembra essere la prossima grande corsa allo spazio. Tra tutti troviamo in testa Elon Musk, pronto a lanciarsi alla conquista del pianeta rosso con un progetto dettagliato e ambizioso; chissà che anche lui non abbia trovato particolarmente stimolante l'esperimento di Fraunhofer.

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